Uno sguardo progettuale sul cambiamento
Idee e Progetti, di Giuseppe Lumia
Siamo all’inizio dell’anno. Inevitabilmente il cuore è pieno di desideri e la voglia di cambiare si fa più forte. E seppur spesso rimanga bloccata da mille impedimenti, non dobbiamo rinunciare a ripensare e rigenerare impegni e obiettivi.
Un piglio, questo, che va richiesto soprattutto alla politica, frenata da strategie di corto respiro, ripiegata sul cinico tornaconto della leadership dell’Io-comunicativo, persa nei meandri dell’autorefenzialità e soggetta al dominio degli interessi forti e oramai globali.
Molti mi chiedono un’opinione sulle tendenze future, sugli orientamenti da intraprendere, sulle strategie da adottare, sulle prospettive da incoraggiare.
Ho pensato allora di scrivere una sorta di trilogia, una riflessione in tre parti sull’economia, sulla politica e sul volontariato.
Si tratta di tre dimensioni che non solo fanno parte delle mie passioni ideali e del mio impegno quotidiano ma sono sempre più decisive per capire e per agire al meglio delle nostre possibilità e potenzialità.
La prima parte della trilogia è incentrata sull’economia del nostro Paese e dell’Europa.
La seconda, sulla politica orientata a sinistra, per comprendere come uscire dai suoi mali pesanti e strutturali.
La terza ed ultima parte è dedicata al Volontariato organizzato, una risorsa straordinaria di cambiamento esistenziale e sociale soprattutto per le nuove generazioni.
L’ANNO NUOVO TRA QUELLO CHE VERRÀ E QUELLO CHE DESIDERIAMO SUL PIANO ECONOMICO
NIENTE DI BUONO È IN PREVISIONE. BISOGNA RIPARTIRE DA UN NUOVO APPROCCIO KEYNESIANO PER SOSTENERE E RILANCIARE IL REDDITO DEL CETO MEDIO-BASSO E INVESTIRE SUGLI STATI UNITI D’EUROPA.
Le previsioni economiche del 2025 per l’Europa e per l’Italia non lasciano purtroppo ben sperare. Si profilano bassi ritmi di crescita interni, senza contare le incognite dell’economia globale, l’impetuosa immissione nei processi produttivi dell’intelligenza artificiale, le incertezze derivanti dagli scenari di guerra in Ucraina e in Medio Oriente, i possibili dazi e l’aumento della spesa militare imposti dalle scelte di Trump senza trascurare le variabili delle scelte della Russia sull’energia, le capacità competitive della Cina e delle necessità di cui si fanno carico i Paesi Brics.
Si corre il rischio di aggravare le carenze strutturali e inceppare l’andamento quotidiano della vita economica, già del tutto insufficiente a fronteggiare le sfide economiche in corso da diversi anni. Neanche il positivo e massiccio investimento prodotto dal “Next Generation Eu” ha la forza di rompere le catene della bassa crescita, dell’aumento delle disuguaglianze e delle povertà, della mancanza di incisività e prospettive concrete per la green economy.
Rimanere fermi ed aspettare passivamente il ciclo spontaneo della ripresa è illusorio e dannoso.
Siamo in sostanza in una fase storica di cambiamento epocale che richiede un piglio di governo inedito e di portata economica senza precedenti.
La stessa crisi latente e quella reale vanno pertanto trasformate in risorsa potente di cambiamento.
L’Europa e l’Italia hanno la necessità più che mai di aprire una prospettiva di rilievo internazionale: in particolare, hanno bisogno di un ritmo di crescita impetuoso e capace di superare la soglia del tre per cento almeno per un quinquennio in modo da tenere insieme politiche di rientro e risanamento del deficit pubblico e politiche di investimento e di sviluppo sostenibile.
Riflettiamo allora su alcuni spunti per incentivare la politica e i decisori vari a cambiare passo e velocemente.
1) L’export tradizionale trainato dal radicato settore manifatturiero, sebbene rimanga un motore solido e collaudato di sviluppo, non è tuttavia in grado di far decollare ad alti livelli il PIL italiano ed europeo. Se ben incentivato e finanziato, può al massimo contribuire per l’1-1,5 per cento di crescita. Non è sicuramente poco, ma anche per questo ragguardevole obiettivo abbiamo bisogno di cospicui investimenti sulla innovazione tecnologica green, sulla riduzione dei costi energetici, in linea con le fonti rinnovabili, e su una reale riduzione dei diversi vincoli burocratici e fiscali.
2) La centralità delle politiche economiche per il 2025 e per gli anni successivi va data ad uno stimolo consistente della domanda interna per incrementare gradualmente i consumi privati e collettivi. Solo così è realizzabile il superamento della soglia del 3 per cento di PIL per alcuni anni. È risaputo che tale obiettivo può raggiungersi grazie soprattutto al miglioramento del reddito del ceto medio e di quello – che non va trascurato – più basso. Allora bisogna aumentare via via i redditi da lavoro ben oltre il loro rapporto con il livello di inflazione, che certamente è da mantenere sempre sotto controllo. È necessario attuare un coraggioso “combinato disposto”: definire un livello di salario minimo entro un range europeo, riprendere il reddito di cittadinanza sempre su scala europea collegandolo virtuosamente e strutturalmente all’ampliamento del mercato del lavoro, e soprattutto aumentare in modo consistente i salari e gli stipendi, a partire dai Paesi come il nostro che stanno molto più indietro sino a raggiungere in pochi anni un livello comune per tutta l’Europa. Per far decollare i consumi e la domanda interna, si richiede parallelamente un aumento della produttività sia industriale che dei servizi e una riduzione dei costi strutturali della vita quotidiana a carico dei cittadini, come i mutui per le case, i costi per i consumi energetici e quelli per il welfare, cioè scuola, sanità e politiche sociali.
Senza tergiversare, va compreso bene che il futuro economico dell’Europa dipende dal benessere reale del ceto medio e dall’uscita concreta dalla povertà del ceto basso. Bisogna allora riequilibrare in modo consistente la distribuzione del reddito, a partire dal recupero fiscale degli extraprofitti da destinare agli investimenti a sostegno della produttività delle imprese e del reddito dei lavoratori e da una efficace e intelligente lotta all’elusione ed evasione fiscale. Anche i tassi d’interesse che le banche offrono per le case nuove ed ecosostenibili e per le ristrutturazioni che utilizzano le tecnologie green devono rimanere entro la soglia dell’1 per cento. Bisogna anche prevedere una rinegoziazione dei vecchi mutui delle prime e seconde case entro il limite dell’1,5 per cento. I risparmi privati vanno inoltre indirizzati, attraverso incentivi fiscali adeguati, verso le attività di welfare e di produzione green. Gli stessi extraprofitti maturati nell’ultimo triennio devono essere in sostanza il volano per realizzare il piano europeo sul benessere del ceto medio e del ceto basso.
Il new deal europeo ha bisogno pertanto di frenare sulle politiche neoliberiste e di entrare in una fase sistematica neokeynesiana, creativa e rigorosa, innovatrice e ben radicata.
Per raggiungere questi obiettivi, c’è bisogno però di una classe dirigente adeguata, che sappia comprendere la portata delle ambiziose sfide che abbiamo davanti e sia in grado di puntare progressivamente sugli Stati Uniti d’Europa, con tutto quello che ciò comporta non solo sul piano economico ma anche istituzionale e sociale.
L’ANNO CHE VERRÀ PER LA POLITICA DELLA SINISTRA, IN ITALIA E IN EUROPA
NIENTE DI BUONO È PURTROPPO ALL’ORIZZONTE. ALLORA È IL MOMENTO PIÙ PROPIZIO PER CURARE I MALI DELLA SINISTRA E PRESENTARE UNA POLITICA MODERNA E CAPACE DI PROMUOVERE UN CAMBIAMENTO ANCHE RADICALE.
Per i vari e diversi soggetti politici della sinistra europea si prospetta ancora un annus horribilis. C’è poco da fare: sulla scia delle sconfitte già maturate in diversi Paesi, tra cui l’Italia, anche in Germania si prevede una possibile e grave crisi elettorale oltre che progettuale, la cui portata è tale da andare oltre il confine nazionale. Senza considerare quanto sta accadendo in Austria e quello che già è successo nell’Europa dell’Est.
Se allarghiamo poi lo sguardo sugli scenari globali, si comprende meglio la situazione drammatica in cui versano le forze democratiche, progressiste e di sinistra, a confronto con la difficoltà a gestire una strategia sui vari conflitti in corso, a partire da quelli in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Stessa considerazione va fatta anche per le altre questioni irrisolte e di notevole complessità, come il livello delle disuguaglianze e di povertà, o gli scenari aperti con l’intelligenza artificiale e lo strapotere della rete e dell’economia finanziaria, il controllo satellitare del mondo e la proiezione speculativa nello spazio, nonché la diffusione capillare del cambiamento climatico, delle dipendenze e delle mafie.
Negli Stati Uniti, in particolare, l’avvento del duo Trump-Musk alzerà come mai prima il livello della sfida per le forze democratiche. Lo stesso vale, seppure con un altro spessore etico e politico, per i problemi sollevati dai Paesi Brics, dove realtà di rilievo e desiderose di rimanere in un contesto democratico – come il Brasile, il Sud Africa e l’India – richiedono un cambio di passo nel rapporto con il mondo occidentale soggetto all’egemonia Americana.
Allora la sinistra deve svegliarsi, aguzzare l’ingegno e provare a scrivere al meglio nuove pagine della propria storia. Avere il cuore caldo e la mente fredda aiuta molto a individuare, senza alcuna edulcorazione, quali sono i mali che l’attanagliano e a ripensare e riprogettare il cammino di radicale cambiamento da intraprendere al più presto.
È facile prevedere che i contesti geopolitico e geoeconomico continueranno a spingere la vita sociale dei nostri territori verso la deriva sovranista e di destra già intrapresa in tutti i Paesi occidentali. Sono spinte così impetuose che hanno messo in profonda crisi le tradizionali forme del vivere insieme e la capacità delle democrazie liberali di promuovere coesione sociale, sviluppo economico, transizione ecologica e integrazione con gli immigrati che continuano a giungere dai Paesi più in difficoltà.
Da dove partire, a livello sociale, per restituire energia progettuale alla sinistra? Con quali progetti e strategie gettare nuove radici culturali? Come rigenerare partecipazione e sane passioni per la cultura e l’impegno politico progressista?
Le risposte, in questa fase storica così travagliata, non ci possono certamente giungere dall’ossessione ricorrente di delegare lo spettro del pensare e dell’agire politico alla leadership dell’“io-comunicativo”. Neanche si può risolvere la grave crisi in cui siamo immersi con un ritorno nostalgico al mitico passato.
Bisogna piuttosto aprirsi ad una fase di laboriosa ricerca, di nuovo radicamento nel cuore delle contraddizioni del vivere sociale, di verifica del modo di pensare e praticare la politica delle sinistre, trasformando questo ciclo di opposizione ai vari governi di destra e di estrema destra in una opportunità di rigenerazione radicale, tanto ideale che progettuale. Il tempo, se usato bene, può forgiare identità aperte, impegno partecipativo e capacità di governo, dando man mano nuove indicazioni e ulteriori suggerimenti.
Ma tre aspetti sono da considerare i punti fermi a cui ancorare la ripresa sociale ed elettorale della sinistra in Europa.
Il primo ancoraggio riguarda le politiche economiche, che devono essere orientate a rigenerare il reddito del ceto medio e del ceto basso, per contrastare le più regressive derive culturali ed elettorali, per lo più di destra estrema e sovranista, come anche la rottura dei legami sociali e la caduta dell’impegno pubblico in larghe fasce di popolazione. Le altre disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali hanno concorso a creare una miscela esplosiva di scarsa partecipazione al voto ed emersione senza freni di violenti fenomeni razzisti e neofascisti.
La sinistra è tuttora persa dietro un irrilevante e autoreferenziale genericismo di governo, che comporta: la perdita di credibilità nell’avere una solida presa sociale ed elettorale; un’incapacità a realizzare politiche moderne a sostegno del ceto medio-basso e il rilancio del welfare pubblico nella sanità, nelle scuole, nelle politiche sociali; una difficoltà a guidare la complessa transizione ecologica e a tenere insieme diritti sociali e diritti civili.
Allora, la prima tappa da prefigurare è quella di investire su una moderna politica dei redditi: salario minimo ma ben organizzato e di livello europeo, aumento consistente del reddito da lavoro entro un range europeo, sostegno fiscale al reddito delle micro e piccole imprese. Il ceto medio è il motore vitale sia della ripresa economica sia del rilancio della partecipazione democratica. Anche il ceto basso non va abbandonato a se stesso, preda di mille strumentalizzazioni assistenziali della destra estrema. Per queste fasce sociali deve profilarsi un reddito di cittadinanza, facendo tesoro delle migliori esperienze già da decenni maturate in diversi Paesi europei, delle più avanzate forme di welfare comunitario ed educativo e di inserimento nel mondo del lavoro e nei processi produttivi.
Il secondo ancoraggio è tutto politico: occorre riprendere l’impegno per la rigenerazione della forma-partito. Il vecchio modello è stato surclassato da mille fattori di crisi, ma aver lasciato la militanza in balìa del caos, dell’improvvisazione, dei giochi delle correnti, della presenza solo elettoralistica e della degenerazione della leadership “dell’io-comunicativo” è stato foriero solo di disastri motivazionali ed elettorali. È necessario pertanto mettere mano alla rigenerazione del modello partito per tenerlo costantemente aperto alla società, per renderlo un luogo vitale e creativo di relazionalità emotivamente coinvolgente e intelligente, di conoscenze avanzate, di formazione al metodo partecipativo e progettuale, di selezione trasparente della classe dirigente, di costruzione rigorosa di forme di governance condivise ed efficaci nell’affrontare i più scottanti problemi con un piglio realmente risolutivo. Ci sono nella società, ad esempio nel volontariato organizzato, esperienze di rigenerazione dello stare insieme intorno alla leadership del “noi-partecipato” che possono aiutare a forgiare una nuova forma-partito, soprattutto in grado di promuovere impegno per progetti-obiettivo, di motivare e qualificare la militanza e di selezionare adeguatamente sia la classe dirigente sia le candidature, senza affidarsi esclusivamente al metodo delle primarie o, peggio, alla cooptazione del segretario e dei capicorrente.
Il terzo ancoraggio va oltre i confini nazionali: si tratta di investire sulla rigenerazione radicale dell’Unione Europea. La globalizzazione, sempre più ingiusta e foriera di disuguaglianze e guerre, non può essere superata con un ritorno al disastroso Stato-nazione, né tantomeno possiamo restare intrappolati negli attuali e sterili assetti istituzionali europei. Tutte le più drammatiche e innovative sfide portano verso contesti territoriali aggregati su larga scala, in grado di dare peso alla rappresentanza e al momento decisionale. È tempo di rompere gli indugi e liberare l’Europa dal modello confederale, che la lascia in un limbo asfittico, burocratico e inconcludente. La sinistra europea deve presentarsi apertamente con il progetto-programma della costituzione degli Stati Uniti d’Europa su base federale, per realizzare così una omogenea politica fiscale, di reddito, di sicurezza, di difesa, di welfare, di politica ambientale, energetica e tecnologica, con un Parlamento veramente titolare del potere legislativo e un Governo realmente sovrano sulle materie federali, rispetto a quelli nazionali. Tra le nuove generazioni esiste già un sentimento diffuso pro-Europa federale, che va coltivato e non deluso da una difesa alquanto sterile dell’attuale assetto dell’Unione Europea. È da proporre e costruire un percorso che abbia un profilo costituente della nuova Europa da sottoporre alla verifica referendaria Paese per Paese.
In sintesi: la nuova sinistra è indispensabile per la vita delle democrazie, per dare un futuro degno ai giovani e per rispettare il ruolo che le donne sempre più rappresentano. Va pertanto curata con amore e rimessa nelle condizioni ideali e operative di guidare il cambiamento con un’adeguata cultura di governo e una larga capacità di coinvolgimento sociale e popolare.
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