ELEZIONI AMERICANE: LA PARTITA È ANCORA APERTA MA POSSIAMO GIÀ FARE ALCUNE RIFLESSIONI di Giuseppe Lumia

 



Si è avverato il risultato più insidioso. Non sarà facile capire a breve chi ha realmente vinto. La partita tra Trump e Biden è ancora aperta. Sul risultato finale incombe inoltre il voto postale che completerà lo scrutinio nei prossimi giorni. Voleranno gli stracci con tanto di ricorsi legali. Trump ha iniziato subito a delegittimare un eventuale esito a lui sfavorevole. 


Alcune riflessioni tuttavia possiamo già farle.


1) UNITÀ/DIVISIONE. L’America è spaccata in due, lacerata e rischia di implodere in continui conflitti sociali con risvolti violenti. Su questo Trump ha le maggiori responsabilità, anzi gioca molto sull’approccio divisivo attaccando continuamente gli avversari a testa bassa. Produce naturalmente risultati velenosi ma dà identità e appartenenza alla propria realtà socio-elettorale. I Democratici conquistano un certo consenso assumendo la Responsabilità come criterio guida dell’agire politico ma pagano un prezzo: non riescono a mobilitare del tutto sane passioni e diffusa partecipazione.


2) DISUGUAGLIANZE. Continuano a giocare un ruolo decisivo. Pesa ancora a favore di Trump il sostegno delle aree interne, rurali ed operaie trascurate per anni e anni e fonte di disuguaglianze e rabbia che orienta il voto “di pancia”. Invece le disuguaglianze razziali e le varie discriminazioni sui diritti civili pesano e vanno a vantaggio dei Democratici, sebbene Biden cerchi di mantenere un profilo non troppo radicale. Sulle disuguaglianze economiche Trump risponde sempre con il protezionismo della “America first”, che piace molto al ceto medio-basso massacrato dal liberismo sfrenato e da una globalizzazione senza regole, su cui paradossalmente i Democratici ancora non trovano un approccio convincente e virtuoso tra il bisogno di radicalismo che richiede nuove scelte e la cultura di governo riformista che procede con cautela. 


3) STATI VINCENTI E PERDENTI. Nelle elezioni americane “per delegati”, i cosiddetti Stati winner hanno un ruolo importante per raggiungere la soglia fatidica dei 270 delegati. Nonostante un’affluenza da record al voto si conferma in buona parte la geografia elettorale delle elezioni scorse. Biden scippa comunque ai Repubblicani uno Stato importante come l’Arizona, vince anche in New Hampshire, Maine, Minnesota e si afferma, secondo le previsioni, in alcuni Stati nella fascia del Pacifico e nella zona orientale più ricca, mentre Trump si conferma negli Stati interni e mantiene la vittoria sull’Ohio e la Florida, oltre che in Texas e Iowa. Ma sono ancora da contare bene i voti negli “Stati in bilico” dove influirà tantissimo il voto per corrispondenza: innanzitutto la Pennsylvania, che esprime ben 20 delegati, il Michigan, che ne ha 16, il Wisconsin, con 10 delegati, il North Carolina, a cui ne spettano 15, e la Georgia, con 16 delegati, dove peseranno molto gli elettori di Atlanta. 


4) LE NUOVE SFIDE. Il voto americano non ha spiccato su questi aspetti, comunque mantiene in vita la spaccatura radicale tra Repubblicani e Democratici. 

- Sul COVID-19, Trump sfoggia a tutto spiano un negazionismo del tutto irresponsabile, Biden un rigorismo puntiglioso che non piace, come è risaputo, soprattutto agli operatori economici. 

- La spaccatura rimane tutta pure sulle tematiche ambientali e in particolare sul cambiamento climatico. Trump si proclama fieramente negazionista, mentre Biden è più propenso agli accordi internazionali per limitare le emissioni e per promuovere la green economy. 

- Sulla globalizzazione e sulla politica estera Trump ripropone un facile sovranismo, sempre venato di logiche imperialistiche e anti europee, grida contro la Cina e resta ambiguo nel rapporto con la Russia di Putin. Biden è più tradizionalmente euroatlantico, disponibile alla cooperazione con l’Europa e agli accordi multilaterali, propenso alla risoluzione dei conflitti nei vari teatri di guerra, alla ricerca tutta in salita delle regole da produrre per orientare positivamente la globalizzazione.


C’è insomma da aspettare con trepidazione il risultato elettorale finale e da valutare, nel frattempo, il peso delle divisioni sulla società americana e le inevitabili ricadute sugli scenari mondiali.

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